Agosto è da sempre, per noi, un mese cittadino. Le sue giornate sono lunghe e calde, e allora io e Luca cerchiamo spesso modi per sfuggire alla noia e alla canicola. Una cosa che ci piace molto è prendere la Vespa e andare a fare dei giri nella nostra campagna. Lo abbiamo fatto anche quest’anno. Sentendoci come Cary Grant e Audrey Hepburn in Vacanze Romane ma somigliando, verosimilmente, più a Homer e Marge nella foto di accompagnamento al post, siamo partiti per lunghi giri senza una reale meta.
Abbiamo percorso stradine strette in mezzo ai campi, già di per sé poco battute ma completamente vuote come solo d’estate si può essere. Le stradine erano costellate di tanto in tanto da un silos, una stalla di mucche, magazzini, covoni, pompe per irrigazioni e piccole cappelle votive (una con una coppietta di adolescenti che si baciavano seduti sul muretto sembrava un’immagine da cartolina).
Ogni tanto siamo entrati in minuscoli paesi, e allora c’erano portici e piccole chiese con campanili che sembravano suonare ancora solo grazie alla fatica di un campanaro, e dentro cui avresti giurato esserci Don Camillo/Fernandel pronto a farle rintoccare a tutto spiano per disturbare il comizio comunista di Peppone/Gino Cervi.
C’erano case basse con usci che danno direttamente sulla strada coperti da tende a strisce bianche e verdi, che hanno i muri scrostati e ferraglia ad arrugginire nel giardino, e che a me ricordavano tanto la Louisiana della prima stagione di True Detective.
C’erano gatti che sonnecchiavano all’ombra.
Poi uscivamo di nuovo in campagna, tra rogge e fossi, trattori, e campi: color paglierino, verdi o marroni, colti e incolti, mietuti o ancora ricchi di coltivazioni.
Della nostra campagna così piatta mi piace soprattutto l’orizzonte che si allarga, che permette allo sguardo di estendersi in rassicuranti paesaggi dai toni caldi. Non è come l’orizzonte del mare o del deserto, che nella sua infinitezza mi ricorda l’irraggiungibile, il volo completamente libero, la lontananza siderale.
L’orizzonte della campagna è sì vasto, ma mantiene puntelli (un palo della luce, l’ombra di un pioppeto, una cascina in lontananza) che permettono all’immaginazione di restare ancorata a terra dandole dei confini.
E questi confini così dilatati, che non opprimono, a me rasserenano.
Perché l’assenza di limiti, il naufragar m’è dolce in questo mare mi affascinava a 20 anni.
A 50 di fronte a cose troppo grandi sento che il cor si spaura, e cerco ancora degli orizzonti, ma un po’ più domestici.
E se allora, come Leopardi nel suo gioco di specchi tra il qui e l’Altrove, vagheggiavo l’eterno e le morte stagioni, ora sento che la presente e viva e il suon di lei ha una dolcezza che prima, semplicemente, non percepivo.