NOPE

L’altro giorno con Luca abbiamo deciso di andare al cinema. Guarda cosa c’è in giro, mi ha detto lui, e scegli un film. Tra le poche proposte decenti nelle sale il 15 di agosto ho trovato Nope. Ho guardato il trailer, ho visto chi era il regista, ho letto 2 recensioni – blasonatissime – per farmi un’idea di quello che saremmo andati a vedere.

Posso esimermi, mi sono chiesta, dal vedere un film di cui si scrive che Riattiva l’iconografia e l’epica del “cinema americano per eccellenza” dispiegando un’ambiziosissima dialettica tra il thriller metafisico di Hitchcock e l’horror moderno di Carpenter, la sci-fi filosofica di Kubrick e il disaster movie fracassone di Roland Emmerich, il metacinema riflessivo di De Palma e il blockbuster intimista di Lucas/Spielberg.?

Posso io, umile gestore di una monosala di provincia, ignorare le perifrasi usate da chi sa scrivere veramente bene, e che molto invidio, ma che secondo me a volte esagera dimenticando che una recensione che vuole fare veramente bene al cinema deve invogliare la gente ad andare in sala? Deve essere comprensibile ad una vasta platea di lettori e non essere ostica anche per addetti ai lavori usando frasi come In Nope la dimensione dell’immaginario popolare diventa il correlativo oggettivo della dimensione privata dei personaggi, oppure, Nope attiva un percorso di spoliazione del visibile tendendo a un campo-controcampo finale che condensi magnificamente la nostra esperienza estetica.

Lo so che il paragone non è completamente calzante, ma quando leggo articoli così dottamente criptici, se potessi farei come Nanni Moretti che, nel film Caro Diario, tortura il giornalista che recensisce con parole mirabolanti lo splatter movie Henry pioggia di sangue (qui sotto la clip).

Ma torniamo a noi. Nope del regista Jordan Peele è un film dalle grandi ambizioni, denso di contenuti e spunti di riflessione. C’è di tutto: citazioni bibliche, la preistoria del cinema (Cavallo in movimento di Muybridge), orgoglio black, riflessione sulla necessità contemporanea di fotografare e riprendere ogni cosa perché questa diventi vera, fantascienza e horror (gli alieni), critica alla tracotanza dell’uomo nei confronti della natura (lo scimpanzé e i cavalli), qualcuno ci ha visto anche una allegoria della pandemia. Ci sono rimandi al grande cinema, è opera visivamente imponente, ma gli manca, secondo me, una coesione d’insieme, una sintesi che lo renda veramente efficace.

E allora io sto con Carlo Confalonieri che scrive: Peele ha lanciato tanti pezzi di un puzzle sublime, senza riuscire a comporlo. Ha sbarellato, mischiato le carte fino a non ricomporre il mazzo. Perchè non è Kubrick, non è Spielberg. Il film resta, non ostante il grande stile innegabile, un casino, una maionese impazzita, un tentativo non riuscito una prova da dimenticare sperando in tempi migliori.

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