La sindrome del nido vuoto

Ieri Tommaso e Jacopo sono partiti per le vacanze. Da soli, in treno da Milano Centrale. Per Jacopo era il primissimo viaggio in autonomia, Tommy ne ha già qualche esperienza.

Sono nata in provincia di Milano e in quella città ho studiato, anche se da 22 anni vivo e lavoro nella piccola, campagnola, rassicurante Cremona. Nei miei ricordi giovanili Milano è una affascinante, stancante a volte pericolosa matrona felliniana. Tutto di lei è sempre stato “troppo” per me: troppo traffico, troppa gente, palazzi troppo grandi, troppa pubblicità, troppo rumore…

Arrivati alla stazione Centrale con gli inevitabili problemi di parcheggio (risolti da Jacopo con un candido: “Che problemi ci sono? Se non riuscite a parcheggiare lasciateci all’ingresso della stazione che andiamo da soli”) e dopo aver percorso 2 gallerie di negozi, arriviamo al gate degli ingressi. Circondati da persone a naso in su, da valigie per le vacanze, ciabatte, famiglie, e gruppi di ragazzi attendiamo la comparsa delle indicazioni relative all’intercity 665. Dopo circa 10 minuti il cartellone segnala che il treno partirà dal binario 21.

Hanno accesso ai binari solo i possessori di adeguato titolo di viaggio, è quindi il momento dei saluti. Davanti all’addetto agli accessi mi sciolgo nel repertorio materno: saluti, baci, abbracci, vi voglio bene, buon viaggio, state attenti, mangiate i panini, non addormentatevi sul treno che poi perdete la fermata, rispondete al telefono, prendete le medicine, ecc…Loro, ridanciani e noncuranti delle mie raccomandazioni, mi voltano le spalle e varcano il gate.

Io guardo l’addetto agli accessi mentre loro si allontanano “Li devo lasciare andare” penso, li guardo ancora, “Ma anche no” mi dico…. Il magnanimo addetto agli accessi acconsente ed io entro di slancio per raggiungerli… Poi penso alla filosofia scout su cui, con scarso successo, ho cercato di instradarli da bambini (l’autonomia si impara facendo, l’esperienza attiva, i più esperti aiutano e istruiscono i più giovani, ecc..) e mi risolvo a seguirli da lontano senza palesare la mia vicinanza fisica ed emotiva.

E li guardo da dietro: l’uno altissimo e dinoccolato, serio e concentrato che deve guidare il fratello minore nel raggiungere il treno, e l’altro, quasi alto come me, che guarda il mondo ridendo con la spavalderia di chi si sopravvaluta sempre.

E dal mio anonimato, vedo che sono “capaci” anche senza rete di protezione, che sono grandi. Orgogliosa di loro, delle persone che – non senza sforzo di crescita – stanno diventando, del modo in cui guardano il mondo e si relazionano con gli altri, mi paleso solo quando stanno salendo sul treno.

Ritorno da Luca: siamo soli e ci aspettano: un pranzo dai miei, aperitivi con amici, un viaggio con 2 gatti miagolanti, il lago di Como, libri da leggere e serie tv da vedere, bagni e sole, cene, progetti a cui dare contorni concreti, una vita in vacanza libertà e tempo perso per i prossimi 15 giorni.

Ci guardiamo e, scavallata l’emotività del distacco, cantiamo, ci sentiamo leggeri, liberi, giovani. stupidi e ridiamo, ridiamo, ridiamo…

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